Psicopedagogia dei linguaggi (Briganti)
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Messaggio  adriana di costanzo Sab Nov 29, 2008 12:44 am

L'ippoterapia rappresenta un complesso di tecniche rieducative che permette di superare danni sensoriali, cognitivi e comportamentali attraverso un'attività ludico-sportiva che si svolge a cavallo. L’obiettivo è quello di migliorare il livello qualitativo della vita della persona diversamente abile procurando emozioni e sensazioni di benessere indotte dal movimento del cavallo e dal contatto con lo stesso. Le suddette attività costituiscono uno stimolo a reagire sia sotto il profilo psicologico sia da un punto di vista fisico.
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Messaggio  orefice.veronica Sab Nov 29, 2008 12:53 am

E' un bell' agomento quello dell' ippoterapia, proposto da Adriana. Secondo me puo' essere molto utile per i disabili.
L'ippoterapia, o equitazione a scopo terapeutico, ha origine empiriche antiche perché il cavallo, con le sue straordinarie doti di sensibilità, di adattamento, di intelligenza è ritenuto, da sempre, e non a torto, "straordinaria medicina".
L’uso dell’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già nell’opera di Ippocrate di Coo (460-370 a.C.), che consigliava lunghe cavalcate per combattere l'ansia e l'insonnia. Una prima documentazione scientifica sull'argomento la dobbiamo al medico Giuseppe Benvenuti (1759).
Alla fine della prima guerra mondiale il cavallo è entrato nei programmi di riabilitazione, inizialmente in Scandinavia e in Inghilterra, poi in numerosi altri paesi.
Ho effettuato alcune ricerche in proposito, deducendo come già accennava la collega che l' ippoterapia, detta Terapia con il Mezzo del Cavallo (TMC), è stata introdotta in Italia nel 1975 dalla dottoressa belga Danièle Nicolas Citterio che ha contribuito all’uso terapeutico del cavallo attraverso anche l’opera dell’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre (ANIRE).
L’ippoterapia agisce grazie all’interazione uomo-cavallo a livello neuro-motorio e a livello neuro-psicologico.
L’International Therapeutic Riding Congress di Amburgo del 1982 ha definito tre diverse fasi o metodologie d’intervento terapeutico all’interno della riabilitazione equestre:
Ippoterapia propriamente detta
costituisce l’approccio iniziale al cavallo e al suo ambiente, si svolge quindi prima a terra e successivamente sull’animale accompagnato da un istruttore. E' riservata dunque a disabili incapaci di mantenere la posizione in sella e di condurre il cavallo in modo autonomo.
Rieducazione equestre
vede il cavaliere impegnato nella conduzione attiva del cavallo, sotto il controllo del terapista, e mira a raggiungere quegli obiettivi tecnico-riabilitativi specifici secondo il programma terapeutico prestabilito per quel paziente.
Equitazione sportiva per disabili
rappresenta il raggiungimento di una notevole autonomia del soggetto, con possibilità di svolgere normale attività di scuderia e di equitazione, a volte agonistica!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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Messaggio  gemma.ranieri Dom Nov 30, 2008 3:36 pm

E' molto interessante come argomento! Io sono un'appassionata di cavalli e posso testimoniare che veramente possono fare miracoli! ritengo infatti che in genere i mammiferi, gli animali domestici hanno un naturale istinto di proteggere chi è più piccolo e quindi indifeso come può essere un disabile. Però non dobbiamo dimenticare che sono pur sempre animali e anche il più mansueto di essi può avere improvvisamente scatti di ferocia.

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Messaggio  michela russo Dom Nov 30, 2008 3:49 pm

Mi sono documentata al riguardo e voglio riportare una esperienza fatta nell’ambito di una ippoterapia nella quale, nel tentativo di superare un empasse traumatico, rappresentato da una “feroce opposizione” (autistica), si è deciso di applicare quello che chiamiamo “l’aspetto di maternage o di pet-therapy” in una attività complessa come è la “riabilitazione equestre”.
Si tratta dell’esperienza nella quale la terapista sale a cavallo dietro al bambino e, in questa posizione, gli sussurra nelle orecchie spiegazioni, suoni rassicuranti, piccoli ordini, parole di rassicurazione e di sostegno, mentre lei stessa gli tiene le mani sulle redini e lo aiuta a guidare il cavallo.
In questo caso, la terapista si mette a cavallo con Elena (down molto regredita, oppositiva, chiusa in sé) che si dimostra soddisfatta e partecipe attiva, accettando la “paroline” sussurrate nelle orecchie.
Dopo qualche esercizio di gimkana, il cavallo viene fermato davanti al muro per così stimolare la scelta verso destra o verso sinistra, verso il cartello del “panino” o quello della “carota”.
La bambina reagisce dicendo e indicando “il panino”. Da qui comincia a reagire più vivacemente, scegliendo sempre una delle due cose proposte.
Mi chiedo quale sia il rapporto tra la parola, che diventa significato, e la terapeuta che è significante.
Si tratta del tema del “pensiero affettivo”.
La scelta di Elena è frutto del passaggio del pensiero attraverso la relazione e così la terapeuta diventa significante che trascina il pensiero, la rappresentazione, il significato, la parola, la volontà, il desiderio.
Si tratta di scoprire una “catena significante” che passa da:
“guarda che:
- potrei essere;
- Io sono;
- Io faccio (guido);
- Io scelgo (il panino);
- rispetto il mio desiderio (orale);
- voglio essere;
- voglio fare.
Se il pensiero affettivo rispetta una catena significante, è evidente che, attraverso questo, il soggetto-paziente può rappresentare un pensiero simbolico che diventa, nel caso di Elena, l’esclamazione insperata “il panino”.
In questo modo, possiamo anche giustificare un comportamento determinato che esce dalla semplice risposta riflessa perché caricato di significato simbolico.
Con l’aiuto dell’Altro-Terapeuta, fatto significante, il soggetto riesce a “esiliarsi da sé” che, rompendo una obbligatorietà ripetitiva, fobica e ossessiva (l’opposizione di Elena), diventa una forma di guarigione. Come se, lo dice J.-D. Nasio, “… l’estraneo che è in noi avesse effetto curativo, procurasse il sollievo dai sintomi” e, in altre parole, permettesse una scelta che è il primo passo (anche se solo abbozzato) verso il decidere di “voler essere se stessi” o “poter diventare un Sé”.
L’esperienza di Elena sul cavallo, si equivale a quella di Ivan nel setting della terapia E.I.T. Il bambino che accetta di prendere la mano del terapeuta per entrare senza opposizioni, si siede, prende il pennarello scrive il suo nome, poi il nome di Lui e poi … il gioco è fatto. Il piccolo non ha più paura di essere se stesso e può anche dire “papà” seppure con suoni gutturali ed imprecisi (sono così, comunemente) dal momento che ancora non può controllare la complessa struttura motoria del diaframma, della laringe, della gola e della bocca.
Da questi esempi si evince anche come il “pensiero affettivo” sia l’immagine di un “transfert affettivo ed amichevole verso il terapeuta” (J.-D. Nasio), rappresentano “legami” con chi “risulta simpatico”, che si strutturano in un luogo che è quel ponte d’amore lanciato dal terapeuta nella sua posizione di “luogo di non sapere”.
Nell’ippoterapia, così come nell’ambito della psicoterapia relazionale E.I.T., è il corpo che diventa “linguaggio”, visibilità, comunicazione, e, attraverso l’oggetto-corpo, si immette qualcosa che prima non c’era, si elargisce uno spazio condiviso nel quale il soggetto-paziente può trovare se stesso esiliandosi da quel sé-obbligato che rappresentava il sintomo comportamentale o espresso da un particolare meccanismo mentale.
Quando il corpo diventa parola, il terapeuta apre al desiderio, l’atto diventa “cammino verso la soddisfazione”.
Proprio per questo, il momento in cui il bambino vedrà nuovamente il terapeuta (o se ne ricorderà quando è a casa, o in piazza o al supermercato) farà emergere quel “pensiero affettivo” che è diventato desiderio e potrà portarlo a ritornare.

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Messaggio  simona.asciolla Dom Nov 30, 2008 4:51 pm

Quando si parla di attività equestre nei confronti dei disabili o comunque dei portatori di handicap,occorre parlare più propriamente di ippoterapia o nella accezione più ampia di questo termine di riabilitazione equestre.
Credere che l'ippoterapia possa portare alla guarigione completa di un qualsiasi handicap è un grossolano errore.
Sicuramente però può portare, a secondo del caso clinico, ad un buon miglioramento.
Infatti molti dei soggetti portatori di handicap sono normo-dotati, quindi si rendono conto di essere differenti dagli altri, perché non possono camminare come loro ad esempio, oppure perché hanno dei movimenti involontari che gli impediscono di essere come gli altri come nel caso della distonia.
A cavallo si sentiranno invece uguali agli altri e riuscire a far sentire queste persone uguali agli altri anche per un'ora al giorno è già un grande risultato.
Migliorare il livello qualitativo della vita del portatore di handicap, procurargli emozioni e sensazioni di benessere indotte dal movimento del cavallo, al passo, in alcuni casi al trotto e nella maggior parte dei casi dal contatto con il cavallo stesso, costituiscono sicuramente uno stimolo a reagire non solo sotto il profilo psicologico ma anche da un punto di vista fisico, aspetto questo ultimo che a torto molte volte viene sottovalutato pensando che non sia recuperabile. In un contesto così delineato, possiamo parlare a ragion veduta di soggetti diversamente abili.
Ma cerchiamo di capire meglio quali benefici si possono trarre dalla terapia per mezzo del cavallo.
La terapia per mezzo del cavallo agisce in modo globale, sollecitando la partecipazione di tutto l'organismo senza che si possa dire quale sistema organico o mentale sia il primo ad essere interessato ( De Lubersac,1977).
Il ritmo del cavallo al passo, di 60 oscillazioni al minuto, permette il rilassamento del tono muscolare; l'andamento sinusoidale riproduce il movimento di basculla della deambulazione normale ( Baumann,1979). Tale spostamento postero-laterale induce reazioni di equilibrio specialmente in prossimità degli angoli del maneggio dove la forza centrifuga, spingendo il cavaliere verso l'esterno, aumenta La richiesta di tali reazioni. L'allineamento capo-tronco-bacino, facilitato dalla particolare posizione in sella e dall'aggiustamento tonico indotto dal movimento del cavallo, permettono la realizzazione di esercizi tipici di equitazione che consentono la dissociazione dei movimenti e la loro coordinazione.
A livello neuro psicologico è possibile, sfruttando le azioni del cavallo e il comportamento intenzionale del ragazzo, attivare più adeguate reazioni di orientamento, migliorare i tempi di reazione di attenzione, potenziare l'abilità esecutiva e la discriminazione spaziale (direzione distanza, sequenzialità,lateralità).
A livello delle funzioni corticali superiori è possibile ipotizzare un miglioramento sui livelli di concentrazione, di estroversione, di vigilanza, di espressività e di aggressività.
Gli stimoli topologici sono ottenuti attraverso l'uso delle redini che consentono di dirigere il cavallo verso l'obiettivo da raggiungere; la memoria e l'attenzione sono continuamente stimolate nell'ambito di ogni seduta di terapia per mezzo del cavallo, attraverso l'azione esercitata volontariamente o involontariamente dal cavallo. In analogia,la modulazione delle cariche aggressive, talvolta alterate nel ritardo di prestazioni intellettive, sono controllate dalla necessità di evitare spiacevoli reazioni e di ottenere un'adeguata gratificazione ludica. Si determina frequentemente, nel soggetto, il desiderio di comunicare al cavallo o all'operatore il proprio stato emotivo e, in tal senso, la pratica favorisce l'espressività e la finalizzazione della comunicazione.
Inoltre, la pratica di una attività così particolare e complessa, porta il soggetto alla scoperta di possibilità non valutate in precedenza.
Nella terapia a mezzo del cavallo, il rapporto essenzialmente corporeo che si istaura, evoca componenti simboliche e proiettive. Il simbolo della madre,intesa come colei che porta ed elemento femminile rappresentato dalla mitologia greca dalle divinità della creazione, della fecondità dell'abbondanza, a cui il cavallo è legato: L'accostamento alla esperienza della madre viene evocato dal movimento al passo regolare che determina il tipico dondolamento e cullamento. Il simbolo maschile della forza fisica della potenza muscolare dominatrice, non sprovvisto di una certa aggressività: Il cavallo simbolo di libertà, evasione, velocità.
Anche nella letteratura psicoanalitica il cavallo ha un suo posto: Nella prima esperienza di analisi con un bambino (Freud,1908), la fobia del cavallo sviluppata dal bambino venne spiegata come spostamento, sul cavallo, della paura del padre avvertito come rivale e punitivo nei confronti dei suoi desideri edipici verso la madre: Anche Jung fa del cavallo un archetipo molto diffuso; Esso incarna la psiche non umana,la bestia che è in noi. Ecco le evocazioni simboliche che il cavallo provoca a chiunque monti a cavallo e che lo rendono la concretizzazione delle proprie fantasie. Si può capire, quindi, come in una seduta di T.M.C. intervengano sempre elementi, proiettivi, identificatori anche liberatori, difficilmente esprimibili in altri contesti. Il soggetto entra in contatto diretto e simbolico con il cavallo, interagendo con lui attraverso il linguaggio simbolico del corpo ( linguaggio che l'operatore promuove e facilita) e in questa condizione di simbiosi, in virtù del suo passo regolare e costante, che sembra riprodurre i movimenti che il feto avverte nell'utero, vediamo il soggetto passare da una situazione di chiusura, ripiegato su se stesso in un desiderio di sicurezza e protezione dalle aggressioni esterne, ad una vera e propria apertura.




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Messaggio  simona.asciolla Dom Nov 30, 2008 4:56 pm

In campo neurologico è indicata in:

-esiti di traumatismo cranio-encefalico sia per controllare il tono posturale che per abbandonare schemi motori globali, di massa a favore di movimenti finalizzati, coordinati e più precisi; risulta utile in questi casi anche per migliorare le difficoltà cognitive, il controllo spazio-temporale e della emotività
-sclerosi multipla, al fine di migliorare il controllo del tono posturale, dell’equilibrio statico e dinamico, la funzione visiva e l’orientamento spaziale, nonché la sensibilità e la coordinazione
-esiti di paralisi cerebrale infantile, allo scopo di modificare il pattern posturale da estensorio a flessorio, con controllo del tronco e degli arti inferiori, ridurre l’ipertono, favorire l’equilibrio.

In campo psichiatrico è indicata, per gli effetti cognitivo, comportamentale, relazionale e del linguaggio in:

forme di vario grado e tipo di insufficienza mentale
-autismo
-schizofrenia
-sindrome di Down
-diversi disturbi del linguaggio.

In campo ortopedico-traumatologico è indicata in:

-forme algiche post-traumatiche e stabilizzate del rachide dorso-lombare (limitatamente all’andatura al “passo”)
-la coxartrosi in fase iniziale
-gli esiti a distanza di displasia lieve delle anche


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Messaggio  Maria Lun Dic 01, 2008 11:38 pm

...andare a cavallo coinvolge diversi elementi sensoriali simultaneamente: la persona riceve stimoli acustici, visivi, olfattivi, ma soprattutto è un valido stimolo affettivo ed un incentivo alla comunicazione. Quando il soggetto si trova sul dorso di un cavallo sperimenta emozioni e sensazioni nuove ed impara a riconoscerle guidato dalla sua sensibilità, che incontra appieno quella di un animale sensibilissimo come il cavallo. I motivi che portano il disabile in maneggio sono molto diversi, ma il fine primo è donare momenti di benessere, tranquillità, piacere e gioia di vivere ricordando sempre che comunque si tratta sempre di una terapia con una sua metodologia. Le attività proposte non sono principalmente rivolte ad una semplice formazione equestre, ma questa è solo un punto di riferimento e di partenza per il conseguente avvicinamento e alla comprensione del cavallo da parte del disabile che vede nel cavallo un dispensatore di emozioni e sentimenti che promuove il miglioramento generale degli atteggiamenti e del comportamento oltre che benefici effetti sulle funzioni intellettive, sul pensiero logico, sulle emozioni, sulla coscienza di sé e sulla interrelazione e sulla comprensione dell'ambiente circostante...
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Messaggio  aiello maria Gio Dic 04, 2008 4:44 pm

La riabilitazione a mezzo del cavallo, più comunemente nota come ippoterapia, da qualche anno e, soprattutto nei centri specializzati, si è inscritta a pieno titolo in quella che è stata chiamata “nuova sistematica assistenziale e riabilitativa”.
La complessa attività che si sviluppa con l’uso del cavallo ha ormai raggiunto un alto livello di specializzazione ed è entrata a far parte di quegli interventi terapeutico-riabilitativi globali che vengono utilizzati per affrontare le problematiche non solo fisiche e/o neuromotorie, ma anche quelle nelle quali i problemi fisici (sindrome di Joubert; X-fragile; ACC; down; microcefalia; ecc.) si intrecciano fortemente con quelli psichici.
Per questo la pratica si è specializzata anche nell’affrontare problematiche anche più specificamente psico-affettive e/o psico-cognitive ed in special modo: l’autismo, le ipercinesie, i disturbi dello sviluppo, l’Asperger, le psicosi infantili.
Nella pratica terapeutico-riabilitativa, l’ippoterapia è servita a indurre nuovi processi funzionali:

1) Aumento dei canali comunicativi e relazionali
Superate le logiche risposte di tensione e d’ansia, i ragazzi hanno attivato modelli comunicativi verbali e non verbali (qualcuno non parla) che sono serviti a trasmettere un profondo senso di soddisfazione e di partecipazione attiva.
L’ippoterapia serve da stimolo per superare sensi d’inferiorità e d’inadeguatezza anche quando questi erano mimetizzati da espressioni di trasposizione. Paradigmatico è stato il caso di un ospite che ha abbandonato i suoi oggetti transizionale che gli permettevano dare forma ad un falso sé tanto valorizzato da essere utilizzato praticamente in continuazione.
La soddisfazione personale e l’auto-gratificazione attivano le espressioni timiche (assiologiche), ed i ragazzi dimostrano la loro soddisfazione con ampi sorrisi, ma, soprattutto, aumentando il desiderio di comunicare agli operatori le proprie esperienze.
Il pensiero, organizzato sulla relazione e sulle funzioni affettive, porta ad attivare le valenze volitive, stimolando un attaccamento agli operatori, al setting, al cavallo, alle attività (sono pochi quelli che si rifiutano di lavorare).

2) Inserimento nell’attività individuale e di gruppo.
L’organizzazione dell’ippoterapia tiene conto delle necessità di arrivare ad un attivo lavoro di gruppo per stimolare le spinte alla socializzazione attraverso la visibilità, l’organizzazione spazio-temporale, il rispetto delle regole, il senso regolatore dell’integrazione in attività nelle quali predomina il rispetto delle norme, dei tempi d’esecuzione, delle priorità e dell’organizzazione temporo-spaziale.
Anche il lavoro in gruppo è importante per sviluppare il senso del rispetto dei tempi e delle reattività degli altri che sono la base per il feedback, l’interazione, la reciprocità e, quindi, l’accettazione di tutte le dinamiche affettivi-relazionali.

3) Sviluppo del problem solving.
La capacità di affrontare con spirito positivo, attivo e creativo la realtà del mondo circostante è una funzione fondamentale nell’organizzazione del senso di valere e di essere adeguati ai compiti ed alle funzioni.

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Messaggio  valentina Gio Dic 04, 2008 5:11 pm

Complimenti per l'argomento molto interessante, nn sapevo che i cavalli potessero fare così tanto per noi umani. ancora di + ora mi sn convinta dell'importanza di essere rispettosi di tutto ciò ke esiste sulla terra, perchè noi nn siamo i padroni del mondo. mi pace qst terapia e farò anke io delle ricerche x saperne di +.
saluti
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Messaggio  martina Spagnuolo Ven Dic 05, 2008 1:38 pm

proprio bello qst forum, complimenti a chi l'ha proposto proprio perchè non c'è cosa migliore di un animale che ci possa aiutare nella riabilitazione.
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Messaggio  chiara.cicione1 Ven Dic 05, 2008 3:23 pm

L'ippoterapia può avere esiti molto positivi specie sui disabili. I cavalli, come alcuni animali, possono essere molto sensibili. Avete visto il film "L'uomo che sussurrava ai cavalli"?

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Messaggio  Alessia.Zoccoli Ven Dic 05, 2008 4:27 pm

Ho trovato quest articolo molto carino, e voglio proporvelo:
"[b]Come deve essere il cavallo da ippoterapia?
Belle domanda. Schietta, diretta, assetata di una risposta tecnica e decisa. Del tipo: che chiavi servono per questo motore? La dodici e la nove. O.K. vado a comprarle. Purtroppo non è così semplice, ma per non scoraggiare posso rispondere con due parole: SANO E LAVORATO.
Diverse volte io stessa ho formulato e ho sentito formulare questa domanda. Molti esperti del settore hanno cercato di elaborare una risposta tecnica ed esaustiva per dare indicazioni a chi si trova a lavorare o a volerlo fare in questo settore. Esistono delle schede tecniche molto esaurienti, nate da studi sperimentali, che riassumono le caratteristiche ideali che un cavallo dovrebbe possedere per essere ritenuti adatti al lavoro coi disabili. Altezza al garrese, frequenza del passo, larghezza della groppa, proporzioni delle gambe. Beh, io ho lavorato con cavalli largamente bocciati da queste pagelle che si sono rivelai degli ottimi “colleghi”. Ogni cavallo ha caratteristiche peculiari che possono tornare utili nella terapia: indole, stazze, caratteri, andature differenti possono soddisfare esigenze differenti.
Così come ogni bambino è diverso da un altro così i cavalli sono diversi tra loro.
Una scuderia eterogenea spesso può essere come una ricca tavolozza per un pittore ispirato da un paesaggio variopinto. VARIABILITÀ = RICCHEZZA DEL LAVORO.
Ogni aspetto del nostro cavallo può adattarsi o meno alle caratteristiche o alle esigenze dei nostri bambini.
Cavalli docili e socievoli sono ideali per avvicinare i più timorosi.
Quelli più dispettosi possono aumentare notevolmente le richieste di attenzione e sono incredibilmente preziosi per lavorare con bambini che hanno disturbi dell’attenzione.
Cavalli dalla groppa larga e il passo regolare sono ideali per il “maternage” e le terapie che hanno lo scopo di indurre rilassamento muscolare.
Al contrario, cavalli dal passo elastico e ritmo veloce stimolano e aiutano ad uscire da uno stato di passività e chiusura, come quello dentro cui si barricano i soggetti autistici.
Capita molto spesso che i cavalli che finiscono nei centri di ippoterapia vengano donati da privati che, per una ragione o per l’altra, non possono più occuparsi del loro amico e confidano di trovare loro un ambiente sano e amorevole dove essi possano ancora “dare qualcosa”. Il consiglio che do è quello di non scartare a priori nessun cavallo solo perché non risponde alle tabelle che si trovano sui libri. È molto più utile cercare di conoscere il cavallo, magari provandolo per un certo periodo di tempo e provare a vedere se si presta a soddisfare le esigenze degli utenti. È utile tener presente che mentre è ben difficile modificare le caratteristiche morfologiche di un cavallo, che al massimo si possono attenuare o accentuare attraverso il tipo di bardatura, no lo è altrettanto per quanto riarda il suo comportamento e il suo carattere. Con pazienza e un buon addestramento possiamo guadagnarci la fiducia del nuovo arrivato e insegnargli cose nuove o correggere vecchie abitudini. Possiamo anche farci aiutare da un esperto se incontriamo resistenze o pensiamo che stiamo commettendo degli errori. Non è però necessario essere degli impareggiabili addestratori per togliere ad un cavallo delle fobie o per renderlo mano reattivo o anche solo più ubbidiente. Ciò che è sicuramente necessario è una buona dose di pazienza, capacità di ascolto e osservazione e anche una parte del nostro prezioso tempo. Quasi mai i risultati arrivano in un lampo, a questo vale per chiunque, anche per i famosi addestratori.

SANO
Per svolgere bene il suo lavoro il cavallo deve essere necessariamente sano: questo vale per il cavallo impiegato in qualunque disciplina e oltremodo nell’ippoterapia. Zoppie e dolori di qualunque tipo costringono il cavallo ad avere una andatura rigida e incostante. I problemi di schiena riducono la possibilità di caricare pesi. Disturbi intestinali lo rendono soggetto a coliche o costipazione. Deficit carico del sistema cardio-respiratorio gli precludono attività più dinamiche come le galoppate o il lavoro presportivo.. Chi fa terapia a mezzo del cavallo ha una doppia responsabilità: nei confronti dell’animale e delle persone con cui lavorerà. Quindi è doveroso assicurasi che il cavallo sia e rimanga sano: perché sia in salute e lavori bene e abbia voglia di lavorare con noi bisogna prenderci cura di lui in diversi modi.
Quelli più ovvi e che risultano più facilmente intuibili riguardano le sue esigenze fisiche
Un punto fondamentale è l’alimentazione: ogni cavallo ha le proprie esigenze alimentari che dipendono sia dalla sua corporatura che dal suo carico di lavoro. Chiunque abbia avuto un cavallo sa quanto sia delicata la sua digestione e quanto spesso un cavallo vada incontro a seri problemi di salute a causa di un’alimentazione scorretta (coliche, scaldate agli zoccoli, ecc.…). È necessario farsi aiutare a un buon veterinario ma soprattutto, ancora una volta, conoscere il nostro cavallo, le sue reazioni e i suoi bisogni. PIÙ IMPORTANTE DELLA CONOSCENZA DEI CAVALLI IN GENERALE É CONOSCERE I PROPRI CAVALLI. E questo può avvenire grazie al nostro attento e quotidiano rapporto con essi.
È necessario proteggerlo dal freddo e dal caldo, dagli insetti e dalle malattie. Dobbiamo garantirgli il giusto riposo e il giusto svago. Infatti una componente decisiva della salute del cavallo è data dalla sua serenità psicologica. Il cavallo ha tanto bisogno di riposare quanto di lavorare. All’ingresso delle scuderie dove montavo da bambina campeggiava una scritta: “Il cavallo che lavora è un cavallo contento” serviva ad ammonire gli svogliati padroni a montare il loro cavallo con regolarità e non solo nei week-end o quando ne avevano più tempo e voglia.
E di più tra le seconde che tra le prime che si inserisce il lavoro. Come dicevamo prima, perché un cavallo lavori bene è necessario che abbia voglia di lavorare con noi. Un modo molto valido per far sì che ciò avvenga è montare personalmente i cavalli che utilizziamo per le terapie. Si cade spesso nell’errore di pensare che il lavoro di questi cavalli sia “leggero” perché si svolge prevalentemente al passo. Ma questo può risultare anche estremamente noioso e rendere gli animali annoiati e frustrati, tutte cose che si esprimono in tic, difetti e resistenze che non aiutano di certo la qualità del lavoro. Ho conosciuto una cavalla che era addirittura caduta in depressione e l’unico modo per farle riprendere vivacità e vitalità fu concederle lunghe passeggiate nei boschi e….saltare. Avendo fatto questo tipo di attività per tutta la sua vita ne sentiva fortemente la mancanza, tanto da sentirsi spegnere nella ripetitività del lavoro al passo dentro al maneggio, con bambini che le chiedevano al massimo di girare a destra o a sinistra. Se però nelle sue giornate si inserivano anche le attività che più amava era in grado di prestarsi con spirito docile e sereno ai suoi oneri e doveri.


È necessario saper andare a cavallo per diventare operatori?
Non occorre essere dei campioni o degli istruttori federali ma è necessario per due motivi. Prima di tutto dobbiamo sapere che cosa significhi stare a cavallo, che tipo di sensazione i nostri bambini ricevono. Non possiamo trascurare questo aspetto. È certo più importate essere buoni fisioterapisti o buoni psicologi o buoni educatori che buoni cavalieri ma è eticamente doveroso e corretto conoscere noi stessi cosa stiamo proponendo ad un altro, tanto più se questi è un bambino. Inoltre è altrettanto scorretto chiedere a qualcuno di sottoporsi ad un’esperienza di cui noi non sappiamo nulla.
Come facciamo a capire la paura di un bimbo di trottare se non sappiamo che sensazioni da? Come facciamo a proporre un esercizio se non sappiamo che sforzo richieda?
Conoscere il cavallo è anche saperlo montare. Montare un cavallo ci mette in un rapporto molto intimo con lui. Montare i propri cavalli risponde a entrambi i requisiti suddetti cavallo sano e lavorato.
Lavorare il cavallo e corregge eventuali difetti lo mantiene “ginnasticato” e lo toglie dalla noia. Un cavallo che non salta può imparare a farlo, uno che non galoppa idem, uno che prende la mano può essere addolcito. Più lavora e meno si annoia. E tutto questo farlo sempre con l’aiuto di un istruttore valido.


e dopo?
Nonostante quello che abbiamo detto finora che non è importante l’età di un cavallo (luogo comune che il cavallo anziano sia più docile, meno reattivo, più paziente e prevedibile) è una realtà di fatto che spesso sono cavalli a fine carriera che si trovano ad essere arruolati nelle schiere dei cavalli per la riabilitazione equestre. Cavalli spesso anziani che, per quanto ben tenuti, sono più soggetti ad ammalarsi e a guarire meno facilmente di un cavallo giovane. E se non ce la facessero più? Indipendentemente dall’idea di ognuno riguardo alla macellazione è un vero delitto scegliere questa via che per molti è la più economica e la più facile. La via che tutti i cavalli invece, secondo mio parere, meriterebbero, e quelli che si sono dati a lavorare coi bambini disabili ancor più a ragione, è di finire i loro giorni in pace e a prato. Chi si è trovato nella condizione di cercare un posto a questi “colleghi da pensionare” forse ha un idea di quanto sia difficile trovare una soluzione del genere se non a costi proibitivi che spesso le associazione non riescono a mantenere, occorre smuovere mari e monti, rivolgersi a volontari, a privati benestanti, ad associazioni come la LAV, gli Alpini, i parchi. A questa domanda non segue qui una risposta ma un appello: occorrerebbe creare un ente sovvenzionato che raccolga i cavalli da ippoterapia che vanno in pensione.
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Messaggio  Maria Sab Dic 06, 2008 5:42 pm

L’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa sul particolare rapporto che si instaura tra il soggetto ed il cavallo, fondato su un linguaggio prettamente motorio, ricco di sensazioni piacevoli e rassicuranti, estremamente coinvolgenti sotto il profilo emotivo. Fino dalle fasi iniziali, a terra, la conoscenza dell’animale e del suo ambiente, la sua cura, contribuiscono ad instaurare senso di fiducia e di sicurezza, che troveranno ancora maggiore stimolazione nella fase successiva del montare a cavallo. L’assetto specifico del montare a cavallo rappresenta una vera e propria correzione globale della postura e in special modo il movimento ritmato ed oscillatorio tipico del cavallo determina sul paziente una molteplicità di stimoli sensoriali e sensitivi, che interessano il bacino, con stimolazione dei sistemi di equilibrio e dei meccanismi di raddrizzamento e di coordinazione. Nel progredire del percorso riabilitativo, ove questo sia possibile, aumenta la capacità di progettare ed organizzare il movimento (conoscenza spazio-tempo), il controllo della propria emotività, il sentimento di fiducia e di autostima, l’inserimento sociale.
Maria
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Messaggio  concetta cesarano Sab Dic 06, 2008 5:57 pm

Perché la terapia a cavallo funziona così bene?
-perché il cavallo si muove alle varie andature con movimenti ritmici e per questo prevedibili, ai quali perciò è più facile adattarsi con le “compensazioni” del corpo

-perché il cavallo è estremamente sensibile al linguaggio del corpo inteso come gestualità e, essendo un animale altamente sociale, è -comunque molto recettivo verso tutti i tipi di comunicazione

-perché il cavallo è facilmente addestrabile

-perché per andare a cavallo, alle varie andature, si impegnano numerosi gruppi muscolari e si coinvolgono vari campi della psicofisiologia e della psicomotricità

-perché in grado di generare sentimenti ed emozioni intense; è ormai riconosciuto il valore del coinvolgimento emotivo nel processo di apprendimento

-perché le stimolazioni visuo-spaziali fornite dal particolare ambiente del maneggio con variazioni cromatiche e di luminosità in relazione anche con il movimento del cavallo sollecitano un’attenzione visiva finalizzata, facilitando così l’acquisizione della dimensione dello spazio

-perché gli ambienti dove vivono i cavalli hanno rumori ed odori caratteristici e per questo molto evocativi

-perché si ottiene una stimolazione tattile intensa sia con il contatto “corpo a corpo”con un animale di grandi dimensioni, sia con l’esplorazione fatta da terra delle varie parti del cavallo che aiutano la presa di coscienza e la conoscenza di sé e del proprio corpo

-perchè il cavallo è un essere che esprime emozioni proprie come la paura in cui ci si può riconoscere e dove si può assumere un ruolo rassicurante; allo stesso tempo, montare a cavallo, cioè su un animale grande e potente, offre sensazioni di protezione, di autostima e fiducia in se stessi

-perché possiede tutte le qualità - calore, morbidezza, odore, movimenti regolari, grandi occhi con sguardo intenso - necessarie a stimolare il processo di attaccamento fondamentale per lo sviluppo dell’essere umano

-perché andare a cavallo permette di stabilire contatti fisici” intimi” e permette anche di essere gratificati, sia dall’offrire cure, carezze e massaggi, sia dal ricevere come risposta ai nostri comportamenti manifestazioni di piacere da parte dell’animale

Non pensavo che il contatto corpo a corpo con un cavallo fosse così efficace nella rieducazione delle persone disabili! Very Happy

concetta cesarano

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Messaggio  francesca.pezone Gio Dic 18, 2008 3:02 pm

Da più parti, ogni attività che utilizza gli animali viene immessa nell’area della pet-therapy cioè in quella sfera di attività cercano di dare alle persone sensazioni di piacere e di benessere.
L’uso del cavallo, però, richiede considerazioni molto speciali che lo distinguono da qualsiasi altra attività di questo tipo, proprio perché la pratica risale forse addirittura a millenni di storia che hanno visto il “migliore amico dell’uomo” anche come mezzo per dare benessere e per “curare”.
L’ippoterapia, in questi ultimi anni, ha subito una rivoluzione concettuale e nella sua applicazione pratica ed inoltre è stata inclusa in programmi riabilitativi strettamente basati sulla scientificità delle regole applicative e della valutazione dei risultati.
Per questo la riabilitazione equestre ha perso quella semplicistica veste di applicazione ludico-ricreativa ed è entrata a pieno diritto tra le metodologie medico-sanitarie atte ad ottenere un recupero funzionale e globale di soggetti disabili, disagiati o disturbati da alterazioni dello sviluppo psico-mentale.
In questa logica, l’ippoterapia non può più essere annoverata tra le tecniche di pet-therapy che danno benessere o soddisfazione (per questo la pet-therapy può essere inclusa tra le terapie palliative che fanno bene, ma non cambiano la situazione di fondo).
L’ippoterapia è oggi una modalità terapeutico-riabilitativa che, se applicata secondo linee-guida precise e validate, con un ampio programma nel quale si trovano anche precisi interventi psico-terapeutici e di riabilitazione cognitiva e utilizzando professionisti (psicologi, psichiatri, medici ed educatori) specializzati, può portare ad indurre miglioramenti, recuperi ed anche risoluzione dei problemi di disabilità psico-affettiva.
Questo modello riabilitativo ha permesso di guardare alla disabilità psico-mentale non più come una malattia o come una spada di damocle sospesa sulla testa di tanti bambini e giovani insieme alle loro famiglie che dovevano sopportare sofferenze, angosce, disillusioni ed anche lacerazioni profonde e dolorose.
Oggi bambini colpiti da gravi disturbi dello sviluppo come l’autismo, l’iperattività, i blocchi psico-mnetali da traumi, le sindromi regressive sovrapposte a malattie genetiche come la sindrome di Down, dell’X-fragile, dell’ACC, di Joubert, ecc. possono affrontate i loro disagi con speranza ed anche con molte certezze per un miglioramento non solo comportamentale, ma anche funzionale e globale.
L’esperienza ci fa dire che molti bambini disabili per disturbi psico-fisici e/o psico-mentali che avevano come futuro una triste previsione di handicap, possono oggi essere presi per mano e ricondotti sulla via dello sviluppo e della crescita.
Per questo sarebbe un grave errore fare passi indietro, tornare a considerare l’ippoterapia una semplice parcella della pet-therapy e/o una banale applicazione ludico-ricreativa che dà benessere.
Non si vuole togliere nulla a tutte le pratiche della pet-therapy che aiutano a “sentirsi più felici” a molti anziani, malati gravi, disabili poco modificabili. Non dobbiamo però neppure dimenticarci di tutti i benefici che sono stati resi possibili con l’applicazione di una ippoterapia scientifica, una riabilitazione equestre che ha la possibilità di aiutare tanti bambini, facendoli uscire dal tunnel terribile dell’angoscia, riportando il sorriso in molte famiglie piombate nel baratro della disperazione il giorno che hanno conosciuta la diagnosi dei loro figli
francesca.pezone
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Messaggio  Marianna A. Russo Gio Dic 18, 2008 8:24 pm

L’ippoterapia é un intervento terapeutico che utilizza il cavallo e, se praticato con
rigore e sotto la guida di personale esperto, porta grandi benefici:

* a pazienti affetti da disturbi motori (emiparesi, paraparesi, monoparesi) e difficoltà di coordinazione, di equilibrio e di sostenere il capo eretto, mancanza di coscienza del proprio corpo;
* per affrontare problematiche e disabilità neuro-psichiche per le quali la
psicoterapia assistita con cavallo deve essere considerata un validointervento riabilitativo ed educativo.
Marianna A. Russo
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