Psicopedagogia dei linguaggi (Briganti)
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Messaggio  elvira70 Ven Dic 05, 2008 8:05 pm

Noi stiamo parlando molto di disabili dei loro bisogni, ma non abbiamo pensato anche a chi vive vicino a loro ?.Gelosia, senso di colpa, vergogna: è una tempesta emotiva quella vissuta anche dai fratellini e dalle sorelline dei bambini disabili. Per loro serve una maggiore attenzione, da parte dei genitori e dei servizi, ho letto da qualche parte che a chiederlo sono anche molti esperti . ‘I fratellini di disabili vivono grosse difficoltà: provano gelosia, vergogna, in un certo senso sono invidiosi delle attenzioni dedicate al disabile, e per questo possono provare un forte senso di colpa. Spesso si pongono delle domande di grande sofferenza: da piccoli vogliono sapere se anche loro rischiano di ammalarsi come il fratello, e crescendo chiedono se si dovranno occupare ‘per sempre’ del disabile e se rischiano di avere a loro volta dei figli malati’. I genitori, però, non sono sempre pronti ad affrontare la situazione. Delle volte succede che i fratellini "normali" vengano messi in secondo piano, diventando ‘satelliti’ del disabile, e che vengano trasformati in ‘mini-genitori’, caricati di responsabilità troppo grandi’. E’ necessario per me, che ‘i genitori aiutino i fratellini a capire la situazione familiare rispettando i loro tempi e che li coinvolgano nella cura del disabile senza colpevolizzarli se a volte sono animati da sentimenti negativi’. Per questo difficile compito devono ‘essere aiutati sicuramente dalla rete dei servizi che devono prendere in carico l’intera famiglia e non solo il bimbo disabile’.
E' questo un altro aspetto da non sottovalutare.

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Messaggio  francesca.pezone Ven Dic 05, 2008 9:02 pm

...anche io sono d'accordo con Evira e questo è un bel tema che tratterò nella mia tesina che si occupa proprio della FAMIGLIA del disabile....aggiungerei che è innegabile, che la presenza di un disabile in un nucleo familiare porti a cambiamenti dell’equilibrio di quella famiglia, obbligata ad affrontare problematiche nuove ed inconsuete, e costretta ad una ridefinizione dello stile di vita per tutti i componenti. Molto spesso tuttavia questa ridefinizione, che essendo di per sé neutra potrebbe tradursi in arricchimento, si svolge in una situazione di solitudine e si nutre di incertezza nel riordino delle dinamiche e dei ruoli.
L’aiuto alla famiglia deve quindi tradursi in un appoggio alla stessa nell’esercizio dei suoi compiti specifici, il sostegno deve permettere cioè alle persone di raggiungere quegli obiettivi che vengono considerati importanti.
Un intervento che ponga al centro la famiglia è essenziale non solo in campo sanitario (ad esempio per gli aspetti della riabilitazione) ma anche per chi opera in campo sociale ed educativo. Infatti appare ineludibile un percorso che vada dal "fare a" (con tutti i sottintesi che questo comporta, soprattutto il rischio di "sostituirsi a qualcun’altro") al "fare con". Gli interventi sono quindi mirati a sostenere la famiglia nello svolgimento delle sue funzioni affettive, curative, educative.L’aiuto alla famiglia deve quindi tradursi in un appoggio alla stessa nell’esercizio dei suoi compiti specifici, il sostegno deve permettere cioè alle persone di raggiungere quegli obiettivi che vengono considerati importanti.
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Messaggio  francesca.pezone Ven Dic 05, 2008 9:18 pm

..a proposito del rapporto dei fratelli con un diversabile vi poro le testimonianze, tratte da un blog, di persone che vivono quotidianamnte questa realtà:

Da Patrizia, 4 Novembre 2008 @ 12:31

sono anch’io una sorella di un fratello con disabilità dovuta alla sclerosi tuberosa. Mi viene da pensare spesso ai problemi che posso aver vissuto da piccola (lui è nato quando avevo 5 anni), senso di impotenza per non poterlo aiutare più che tanto, senso di abbandono da parte dei miei genitori, paure, ma a volte si sottovalutano gli aspetti positivi che abbiamo grazie a loro (sensibilità, attenzione ai problemi degli altri, propensione alla cura, voglia di impegnarmi nell’associazione dei familiari e altri). Io sono psicologa probabilmente grazie a mio fratello. E penso nel mio lavoro di mettere molta empatia. Molti fratelli e sorelle hanno scelto lavori di aiuto alla persona.

Da momo, 14 Novembre 2008 @ 17:12

Sono la sorella minore di un ragazzo disabile.
Se penso alla mia infazia (ora ho 40 anni) non posso fare a meno di associarla alla sofferenza e all’imbarazzo che provavo per lui.
Di queste cose in famiglia non si poteva parlare, bisognava essere forti, non erano ammesse debolezze da chi, più fortunato di lui, era già stato investito di responsabilità e aspettative enormi.
Con gli anni ho dovuto lottare con il senso di ribellione per quel fardello che mi portavo dietro, che mi era stato imposto, ma che amavo con tutta me stessa proprio perchè lui era l’unico ad amarmi in maniera incondizionata.
Poi si cresce…si perdona se stessi e gli altri, e si finisce per comprendere che quella che ti sembrava una imposizione e la tua unica ragione di vita…
Questa è la mia storia.
Spero possa esservi d’aiuto.

Da nadia, 14 Novembre 2008 @ 23:41

Sono la sorella di una ragazza disabile grave di 37 anni. Siamo in 5 figli e lei è l’ultima. Dalla sua nascita la vita è sempre girata intorno a lei e noi abbiamo sempre aiutato e fatto di tutto per alleggerire la situazione. Noi siamo tutti sposati con famiglia, ma non per questo abbiamo dimenticato la nostra famiglia d’origine. Ma adesso che i miei genitori sono anziani (78 e 79 anni) e con problemi di salute,specie di mia madre, cominciano i problemi veri anche perchè spesso i genitori si aspettano che gli altri fratelli vivano solo in funzione dei loro fratelli disabili dimenticando che noi abbiamo diritto a fare le nostre scelte e che abbiamo anche noi una famiglia con tutti i loro problemi. Cosa fare? Vi assicuro che non è facile. Ciao

Da nadia, 14 Novembre 2008 @ 23:50

Continuo il discorso. Non voglio dire che avendo la ns. famiglia abbiamo diritto di dimenticarci di loro ma non sempre è fattibile l’idea di tenerseli in casa (che forse è quello che i genitori si aspettano almeno i miei) Se qualcuno si trova in una situazione simile alla mia invii la sua testimonianza. Rispetto a chi ha parlato prima io non lavoro nell’area disabili ma faccio volontariato in una associazione che si occupa di disabili e anch’io mi chiedo quanto abbia inciso in questa mia scelta la mia situazione familiare. Non nego che l’esperienza di una sorella disabile mi abbia responsabilizzato maggiormente nei confronti degli altri in genere. Ho parlato forse troppo lascio spazio. Ciao

Da Laura, 25 Novembre 2008 @ 19:15

Ciao a tutti, sono Laura, sorella gemella di Manuela, una ragazza down di 27 anni. sono educatrice…e faccio parte di un gruppo di fratelli e sorelle. ci sono moltissime sfaccettature in ogni aspetto e in ogni età di vita. Il confronto con altri fratelli o sorelle mi sorprende sempre perchè impercettibilmente c’è un sottofondo, un qualcosa grazie al quale sai e senti che quella persona ti capisce e anche se non la conosci magari ti riporta sensazioni che tu vivi e spieghi a tutti ma nessuno ha mai capito.. brutto dire che chi non è dentro non capisce..ma a volte è così. e nel gruppo ti ritrovi a raccontare cose personalissime che non racconti ai tuoi amici magari a persone che conosci appena, e vi assicuro che è fantastico poterlo fare. Finalmente viene data un pò di attenzione ai fratelli, e al di là di ogni studio medico educativo pedagogico che sia, una cosa l’abbiamo in comune tutti: abbiamo convissuto e conviviamo la nostra vita con un fratello o sorella per noi speciale, che è così e per quanto riguarda me non vorrei assolutamente cambiare, grazie al quale io ho certe conoscenze e soprattutto sensibilità che altrimenti non avrei, non sarei la stessa persona che sono ora. con tutti i pro e i contro che ciò ha comportato. e vogliamo far capire anche agli altri che per noi i ns fratelli sono speciali, non sono dei problemi, e un pò di questa specialità sarebbe bello averla tutti..
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Messaggio  orefice.veronica Ven Dic 05, 2008 9:32 pm

Anchio ricercando...ho trovato un articolo proprio inerente al rapporto con la famiglia:
LA FAMIGLIA COME RISORSA NEL PROCESSO DI SVILUPPO DEL BAMBINO DISABILE VISIVO*
Giancarlo Abba

“Le gioie dei genitori sono segrete, e così i loro dispiaceri e timori;
le prime non le sanno e i secondi non li vogliono esprimere”
Bacone
L’articolo sottolinea il ruolo fondativo della famiglia nello sviluppo del bambino con disabilità visiva, le potenzialità dei genitori nel suo processo di crescita e nell’incontro con la realtà esterna.[fine abstract]
Parlare con le famiglie che vivono la loro esperienza con un bambino che non vede o che presenta gravi problemi della vista significa, innanzitutto, rimettere in sesto l’immagine infranta di genitori. Infranta perché il bambino “non è come gli altri”.
Lo sconforto, la disperazione, il dolore si impongono con tutta la loro forza. Crolla l’immagine del bambino “normale” e nella coscienza dei genitori si affacciano sentimenti di vario genere che possono incidere in modo molto evidente sui comportamenti futuri. Il bambino immaginato non c’è. Davanti ai genitori c’è una realtà diversa.
Di questi sentimenti è bene essere consapevoli, vanno in un certo senso considerati inevitabili, senza dimenticare, però, che il bambino necessita di tutte le attenzioni e di tutto l’affetto possibile.
Il mestiere di genitore non lo si impara in una scuola di formazione alla genitorialità ed esserlo di un bambino che non vede è ancora più difficile.
Non approfondiamo qui la problematica della cecità e di cosa essa suscita nell’animo umano e di un genitore in particolare, in quanto trattasi di un tema che esulerebbe da quello in argomento.
Ribadiamo solo la gravità del trauma, dello sgomento, dell’angoscia vissuti dalla madre, dal padre e dalla famiglia nel suo complesso e del pesante e negativo trasferimento che tali stati d’animo possono determinare sulla personalità del bambino.
Anche perché, all’inizio della sua vita il bimbo minorato della vista non sa di essere nella condizione di non vedere ma, al tempo stesso, ha in sé tutta la forza che lo spinge a correre incontro alla vita, con gli strumenti che gli sono propri, come qualunque altro bambino.
Di ciò vorremmo rendere consapevoli i genitori, o aiutarli ad essere consapevoli perché, crediamo, da questa convinzione scaturisce anche l’energia per elaborare la situazione esistenziale che li coinvolge.
Tralasciamo anche, in questa sede, la trattazione del ruolo delle figure specializzate, delle istituzioni, dei servizi del territorio che devono operare e intervenire per aiutare i genitori nel loro difficile percorso.
Cerchiamo qui di argomentare intorno alla famiglia, al suo ruolo a ciò che le è proprio, a ciò che le appartiene prioritariamente, al suo essere nucleo sociale “fondamentale” per il bambino. Parliamo della famiglia che è per il bambino uno dei bisogni elementari dell’esistenza.
Un bambino come gli altri in una famiglia come le altre
Il bimbo che non vede è un bimbo come gli altri, deve godere di tutti i diritti che gli spettano, perché egli ha comunque la capacità di “sentire” quanto gli viene trasferito.
Il contatto con il corpo della madre, le prime sensazioni olfattive, di calore, di morbidezza, di accoglienza, lo aiutano a prendere contatto col mondo. Il senso dell’”essere contenuto” dalle braccia, di sentire il battito del cuore, lo sostengono nel procedere della vita.
È un primo contatto, fondamentale, che piano piano lo collocherà nel mondo.
Il rapporto fisico con la madre (col padre) è un primo veicolo di rapporto con se stesso e di rapporto con ciò che sta “fuori da sé”.
La famiglia come risorsa, abbiamo detto nel titolo di questa, che chiamerei “conversazione scritta”. Risorsa in quanto vogliamo far comprendere come tutti i momenti privati, intimi, domestici, delle relazioni familiari, siano tempi e situazioni in cui i genitori assumono tutta la loro importanza. Una risorsa che deve essere messa in campo positivamente. È in tutti quei momenti domestici che nel bambino comincia a costruirsi, a consolidarsi l’attrezzatura necessaria alla vita. È in quei momenti che, di fatto, si esprime, si costruisce la genitorialità.
Allora, poniamoci una domanda.
Chi è protagonista, insieme al bambino, della lievitazione dell’apparato di competenze? La famiglia, i genitori.
Non stiamo dimenticando quanto sia importante per la famiglia ricevere sostegni, indicazioni, supporti, per essere aiutata nel suo percorso col bambino che non vede, Altri, nel contesto di questo corso lo hanno fatto o lo faranno.
Qui vogliamo portare in evidenza, dare sufficiente risalto proprio alle molte potenzialità che i genitori hanno nel processo di crescita del loro bambino che non vede.
Vogliamo aiutare i genitori a riconoscersi come protagonisti di quel processo, a considerarsi come soggetti attivi, a riservarsi momenti in cui non c’è delega data ad altri. Vogliamo aiutarli a riconquistare il valore della intimità della famiglia intesa come momento generativo di affetti e sentimenti, ma anche di osservazione, di conoscenza e di capacità di interpretare i bisogni del bambino. Non vorremmo che prendesse il sopravvento la dimensione del “deficit”, dell’handicap, rispetto al che cosa fare per affrontare i problemi.
Occorre tener presente ciò che, come genitore, si fa nella quotidianità, svelandone il significato.
Le ore trascorse insieme, quando non sono sovrastate dall’ansia, dalla paura di non farcela, ritrovano un loro svolgersi sereno se i momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti, da carezze, da contatti affettivi. Con la volontà di costruire la vicinanza col bambino, di accompagnare il suo primo percorso dell’esistenza, attraverso un contatto buono col mondo. Vale l’incontro con il mondo esterno, compreso, per esempio, attraverso la scoperta del proprio corpo.
Tutte le azioni quotidiane dell’accudimento, dell’igiene, della alimentazione, del tenere in braccio, sono di fondamentale importanza per il bambino che non vede nella sua graduale costruzione di sé nel mondo e del mondo che è fuori da sé.
Questi esempi per affermare che la famiglia è depositaria di compiti primari: affettivi, relazionali, comportamentali e cognitivi. L’ambiente di vita del bambino è costruito dalla sua famiglia, dalla sua casa, dalle cose che gli stanno intorno, dalla relazione corpo-ambiente, dall’agire con e nelle cose.
I genitori sono i primi grandi osservatori del bambino perciò hanno di lui una grande conoscenza. Possono assumere, sono in grado di assumere, un ruolo positivo più di quanto possano immaginare.
Quale considerazione fare per supportare tali affermazioni?
I genitori trascorrono molto tempo con il loro bambino; è un tempo in cui credere per affinare la sua conoscenza.
I genitori devono credere in loro stessi, basti pensare che i loro figli già lo fanno. Il bambino infatti, non ha altri in cui credere in questa fase della vita.
Le prime persone a cui il bambino si “affida” totalmente sono proprio i genitori.
È necessario, a mio parere, partire da questa considerazione per rinforzare il ruolo positivo e propositivo che la famiglia, i genitori assumono nell’evoluzione del figlio.
Nel corso della storia la famiglia non è stata sempre la stessa. È cambiata nel tempo. Il concetto stesso di famiglia si è modificato con l’evolversi della società. Sono cambiati i ruoli al suo interno, le geometrie relazionali.
Rimane però, alla famiglia, una attribuzione solida, insostituibile, e inevitabile: la famiglia è luogo della socializzazione primaria perché:

• Favorisce lo stile cognitivo (il pensare, il capire, l’apprendere).
• Favorisce le prime relazioni affettive, lo sviluppo dei sentimenti (con i fratelli, con i nonni, con gli zii..)
• Favorisce l’equilibrato sviluppo psicosessuale.
• Favorisce lo sviluppo linguistico.
• Favorisce lo sviluppo comportamentale, educa alle prassie.
Da un lato la famiglia è protezione dal mondo, difesa cura del bambino, dall’altro è ingresso graduale nel mondo e nel sistema delle relazioni sociali.
Anche per il bambino che non vede, il mondo deve essere a “portata di mano”, ma per lui è un po’ più difficile imparare a conoscerlo, a causa della mancanza della vista. Difficile, ma possibile.
La famiglia è la sede privilegiata della educazione alla realtà, aiuto per crescere, non difesa rigida dal mondo. In questo senso essa è distinta da tutti quei luoghi o istituzioni che si occupano della “socializzazione secondaria”, le agenzie formative: la scuola, le agenzie culturali e del tempo libero organizzato e a pagamento.
Dicevamo prima, luogo della socializzazione primaria è la famiglia. Se ciò è vero allora è anche vero che il suo ruolo è fondamentale per mettere le basi della ricchezza percettiva e cognitiva del bambino, fin dai suoi primi anni di vita. Perché più il bambino è “attrezzato” sul piano della personalità più avrà risorse individuali da spendere nei luoghi e nelle situazioni extra domestiche che lo attendono e nei momenti in cui i genitori non ci sono.
Vogliamo far comprendere che se pensiamo ad un bambino capace di affrontare il suo futuro, dobbiamo saper porre le basi precocemente, dove il “precocemente “ trova la sua origine proprio nel contesto dell’ambiente domestico, nella gestione della quotidianità. Tale consapevolezza contribuirà a dare al bambino la sicurezza interiore per tutto il resto della vita. Più rafforza la sicurezza, più sarà capace di essere autonomo.
Teniamo presente questo principio: l’educazione in famiglia avviene sempre e comunque ed “è quella che è” ovvero, l’impostazione educativa, è ineludibile. Ecco un altro dei motivi per cui come famiglia è necessario considerarsi risorsa, perché alcuni fondamentali processi di sviluppo trovano i genitori come primi agenti e nello stesso tempo primi osservatori dei cambiamenti e come coloro che tengono (debbono tenere) viva la situazione.
Il sistema delle relazioni, per esempio, è generato dalla famiglia e deve essere mantenuto da una precisa intenzione altrimenti si spegne, si incarta e il bambino è più povero sul piano della personalità. Il bambino che non vede lo è ancora di più, perché per lui le sollecitazioni dal e del mondo sono meno immediate o addirittura assenti. Allora è bene che la famiglia sia sempre consapevole della sua insostituibilità.
L’umanità non ha ancora trovato un modo migliore per allevare i suoi piccoli se non nell’ambito della famiglia unitamente appunto, a tutto il sistema delle relazioni che sa crearsi intorno.
I genitori hanno un ruolo propulsivo che appartiene loro in modo esclusivo, almeno in questa fase della vita del loro piccolo.
L’educazione familiare pone le basi per ogni altra educazione; quella della famiglia è un’educazione fondamentale. Dove vive il bambino? In famiglia. È nella famiglia che avviene la formazione umana, senza programmazioni o altre specificazioni tecnicistiche.
Di questo bisogna che i genitori siano convinti profondamente .
È ciò che può aiutarli a considerarsi “unici” nel loro essere genitori di “quel bambino” distinguendo in maniera chiara il proprio ruolo da quello per esempio, demandato a figure provenienti dalle diverse istituzioni: l’educatore, lo psicologo, il tiflologo, i terapisti della riabilitazione che svolgono (importantissime) altre funzioni, anche quando effettuano interventi familiari, a domicilio.

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Messaggio  Rossella Accardo Dom Dic 07, 2008 4:29 pm

che troppa parte del dolore che sperimentano i disabili e i loro familiari sia dovuto all'atteggiamento della gente lo dice anche la madre di Nicola,un bambino affetto da una malattia genetica multisistemica,la sclerosi tuberosa,che gli provoca una grave forma di epilessia. scrive,infatti:"Nicola è il miracolo della mia vita e se c'è tanta sofferenza in me non deriva tanto dalla sua patologia quanto piuttosto dal male che ci viene inflitto dalla gente quando ci respinge,ci giudica e ci critica".
i genitori che scoprono di avere un figlio con gravi disabilità sono costretti ad accantonare molte aspettative che in precedenza avevano riservato sul nascituro,arrestando bruscamente l'estensione del proprio sè,la loro progettualità,perchè essere genitori di un soggetto con disabilità è un ruolo in cui si devono affrontare situazioni simili a quelle di tutti i genitori ed altre che i genitori in genere non dovranno mai sperimentare. La capacità di riorganizzazione,espressa dai genitori dinnanzi alla realtà di un figklio disabile,varia da famiglia a famiglia,ma sarà per tutti doloroso accettare la condizione del figlio. saranno vissute aspettative deluse e,magari,anche amicizie perdute,ma i genitori potranno anche sentirsi sostenuti da atteggiamenti di disponibilità e di solidarietà,sempre che questi siano messi in atto nei loro confronti.
il carico emotivo che la famiglia deve reggere in presenza di un figlio con disabilità è molto alto:da questo può nascere l'enfatizzazione di alcune funzioni emotive e la messa in ombra di altre. Per esempio,sono molte le testimonianze di genitori che affermano di aver avuto la sensazione che il loro tempo si sia fermato,con l'amara consapevolezza che questi figli non cresceranno mai e che l'ombra di disinteresse che la società proietta sui disabili diventi un peso spesso troppo gravoso da sopportare.
Un genitore poi afferma di avere la sensazione che l'handicap sia anch'esso un componente della famiglia,perchè assorbe energia,occupa tempo,esige presenze e porta molta fatica.
una madre scrive a proposito della sua vita con un figlio autistico:"nessuno sa,vede,nè misura questo tempo che trascorriamo insieme.nessuno capisce anche quando spiego". E' grande il dolore espresso da queste parole,come è forte la critica alla società tutta che è sottesa ai sentimenti che dice di sperimentare questa madre. Ella scrittrice lascerà lungamente la sua professione a causa dell'autismo del terzo figlio e si dedicherà a lui con la consapevolezza che esprime nelle parole:"bisogna che accetti infine il fatto che tu mi prendi molto e non mi dai quasi niente.abnegazione totale della mia vita.i miei pensieri.i miei ritmi.la mia intimità.la mia libertà" ceramente tutto questo può portare a momenti di disperazione,di cui è ben consapevole la scrittrice che confessa:"alle volte ho paura. sento di diminuire le mie forze. la mia energia se la squaglia.ho paura di non poterti più amare.non ho più riserve d'amorew".
che momenti di disperazione possano cogliere chi deve continuamente vivere andando controcorrente,combattendo contro le differenze dovute alla salute del figlio,contr i pregiudizi della gente,l'insensibilità della società,è più che giustificato,ma è proprio in questi casi che una rete di servizi,di risorse,di individui dovrebbe tendersi per far si che la vita di quella persona,di quella famiglia,non diventi un salto nel vuoto......
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Messaggio  Angela La Mura Dom Dic 07, 2008 8:27 pm

Essere genitori di un bambino disabile significa essere speciali; bisogna innanzitutto accettare ogni tipo di differenza e di difficoltà; essere coscienti dell'incipit e avere tanta resilienza.
Solo analizzando criticamente ogni cosa si può programmare la vita familiare

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Messaggio  teresa aligante Dom Dic 07, 2008 10:05 pm

Per promuovere l'inclusione sociale delle persone disabili è necessario sostenere e aiutare anche le famiglie in cui i disabili vivono. Vi riporto alcune percentuali che possono far meglio comprendere l'importanza di questo aspetto. Le famiglie in cifre:
- La condizione di disabilità fra i giovani comporta una loro permanenza nel nucleo d'origine; si riscontra così che il 34% dei disabili di età 25-44 anni vive con i genitori (rispetto al 19% dei non disabili), e che ben il 17% dei disabili della stessa età vive con un solo genitore (rispetto al 6% dei non disabili).
- La famiglia rimane il perno fondamentale di riferimento per le persone disabili: il 74% degli aiuti ricevuti da tutte le persone disabili è stato fornito da un parente più o meno prossimo e di questi il 41% è un parente di sesso femminile. Stilando una possibile graduatoria degli aiuti ricevuti dalle famiglie con almeno una persona disabile, al primo posto troviamo l'aiuto in attività domestiche e l'aiuto nell'assistenza di adulti e bambini (19,4% di coloro che hanno ricevuto almeno un aiuto), mentre solo al terzultimo posto troviamo l'aiuto di tipo economico (2,6%).
Il ruolo della famiglia è fondamentale nei molteplici aspetti della vita di una persona disabile: dall'assistenza ed aiuto in caso di bisogno fino al livello di integrazione e socializzazione. Sostenere la famiglia di un disabile, economicamente e moralmente, vuol dire aiutare la persona disabile stessa.

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Messaggio  Maria Grazia Di Paola Mar Dic 09, 2008 8:42 pm

La famiglia rappresenta il nucleo che maggiormente necessita di attenzione e di aiuto durante l’intero ciclo vitale, a partire dalla diagnosi (alla nascita del bambino o successivamente), fino a tutto ciò che concerne lo sviluppo dal punto di vista scolastico, affettivo, lavorativo, cognitivo ecc. La nascita di un bambino costituisce di per sé un evento che obbliga alla riorganizzazione della propria identità e della propria quotidianità: se il bambino presenta dei problemi, a questi compiti evolutivi si aggiungono delle notevoli difficoltà e peculiarità. È fondamentale che tali aspetti vengano presi in considerazione considerando che la modalità con la quale la famiglia affronta un evento potenzialmente disadattivo come quello della disabilità, avrà enormi ripercussioni sullo sviluppo e il benessere del bambino e dell’intera famiglia. I genitori dovrebbero ricevere la maggior quantità di informazioni possibili sulla natura delle problematiche del figlio e su come muoversi circa i supporti medici, psicologici, pratici, oltre che aiutati a livello emotivo ad accettare la realtà e a rapportarsi con il proprio figlio.
L’accettazione è forse il primo, fondamentale, passo da compiere e, contemporaneamente, forse il più difficile. Le reazioni iniziali passano inevitabilmente per una fase di shock, di trauma, di vero e proprio lutto per la perdita del bambino atteso. Il dolore può essere seguito dal senso di colpa e da vissuti di fallimento rispetto alle proprie capacità procreative e alla propria identità genitoriale, di coppia, individuale. In seguito le reazioni possono essere diverse, ma spesso si riscontrano meccanismi difensivi quali la negazione che, se da una parte protegge dal dolore (ci si comporta come se la disabilità non esistesse), dall’altra impedisce di usufruire di idonei trattamenti che invece è importante che siano il più precoci possibili. Le energie dei genitori rischiano di concentrarsi nella ricerca di elementi che disconfermino la diagnosi, (ad esempio, passando da uno specialista all’altro) e ciò impedisce di misurarsi realisticamente con le esigenze del bambino. Inoltre, negare la realtà del proprio figlio, può portare a nutrire aspettative non realistiche nei suoi confronti: la frustrazione nel constatare i suoi fallimenti continui rispetto a richieste troppo grandi, può favorire vissuti di rabbia, ansia, depressione, con effetti deleteri sul rapporto col bambino stesso e, dunque, sul suo sviluppo e sulla sua autostima. All’opposto, altrettanto controproducenti, sono l’iperprotezione (non si favoriscono esperienze formative e di autonomia perché considerate pericolose, troppo faticose o precluse) e la sfiducia nelle capacità residue sulle quali invece è fondamentale concentrarsi. Spesso ci si focalizza su ciò che il bambino non è in grado di fare o che si presuppone che non sia in grado di fare, con il rischio di creare una sorta di profezia autoavverantesi, con il risultato di limitare effettivamente le acquisizioni che invece, se opportunamente stimolate, sarebbero possibili. Un altro rischio è quello di avere difficoltà nell’educazione del proprio figlio, ad esempio circa il rispetto di alcune regole sociali: alcuni genitori evitano di imporre ulteriori limitazioni al proprio figlio “già tanto sfortunato” col risultato di limitare le sue competenze sociali, le capacità di stare in mezzo agli altri seguendo regole condivise e favorendo, involontariamente, il rischio di isolamento e di difficoltà relazionali. Educare un figlio non normodotato è tutt’altro che facile: le famiglie possono essere aiutate, come accennato, da percorsi di sostegno psicologico sia individuale che di gruppo. Entrambi per permettere ai familiari di elaborare i propri vissuti di rabbia (spesso nei confronti dello stesso figlio/fratello ecc) di dolore, di stanchezza, di frustrazione, di invidia nei confronti degli altri, i secondi, per avere anche la possibilità di confrontarsi con chi vive situazioni simili, allo scopo di ricevere e dare un sostegno reciproco, di favorire uno scambio di informazioni e risorse, per superare il senso di isolamento e solitudine ai quali si può andare incontro quando si incentra la propria vita esclusivamente intorno alla disabilità del proprio caro. L’identità dei genitori, ad esempio, rischia di ridursi al solo fatto di essere padre/madre di una persona “diversamente abile”. Se è vero che avere un figlio con problemi richiede effettivamente una maggiore mobilitazione di risorse e di energie, è anche vero che aiutare a recuperare altri aspetti della propria personalità (attitudini, interessi, aspirazioni lavorative, gusti musicali ecc.) favorisce il benessere di tutto il nucleo familiare. Genitori troppo stressati, frustrati, arrabbiati, ansiosi e/o depressi avranno comportamenti poco funzionali al benessere del figlio e del proprio.
Qualsiasi tipo di intervento si proponga, è importante che abbia le caratteristiche di globalità, indirizzato cioè sia al versante affettivo che a quello cognitivo e che favorisca l’equilibrio, in famiglia, tra una partecipazione attiva e funzionale e una concentrazione eccessiva intorno alla disabilità, troppo dispendiosa in termini di energie e, soprattutto, poco costruttiva. Gli scopi devono essere quello della diminuzione dell’handicap, del miglioramento della qualità della vita, della ricerca del giusto canale comunicativo per favorire uno sviluppo il più sano possibile (Zanobini, Usai, 1998). È fondamentale stimolare e favorire il più possibile l’autonomia e la consapevolezza della propria condizione senza drammatizzazioni né minimizzazioni e lavorare sulla prevenzione di rischi evolutivi.
Negli interventi, che possono essere molto diversi, a seconda del tipo di disabilità e a seconda delle caratteristiche individuali e del contesto di ogni persona, è fondamentale che ci sia una programmazione di base rispetto a tempi e modalità, che preveda anche strumenti di verifica che permettano di valutare ed eventualmente “ri-tarare” gli obiettivi e le modalità di attuazione, ma anche perché la cognizione dei progressi (propri o del familiare) migliora la sensazione di autoefficacia, di autostima, di speranza.

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Messaggio  Emilia Caporaso Gio Dic 11, 2008 10:12 pm

francesca.pezone ha scritto:..a proposito del rapporto dei fratelli con un diversabile vi poro le testimonianze, tratte da un blog, di persone che vivono quotidianamnte questa realtà:

Da Patrizia, 4 Novembre 2008 @ 12:31

sono anch’io una sorella di un fratello con disabilità dovuta alla sclerosi tuberosa. Mi viene da pensare spesso ai problemi che posso aver vissuto da piccola (lui è nato quando avevo 5 anni), senso di impotenza per non poterlo aiutare più che tanto, senso di abbandono da parte dei miei genitori, paure, ma a volte si sottovalutano gli aspetti positivi che abbiamo grazie a loro (sensibilità, attenzione ai problemi degli altri, propensione alla cura, voglia di impegnarmi nell’associazione dei familiari e altri). Io sono psicologa probabilmente grazie a mio fratello. E penso nel mio lavoro di mettere molta empatia. Molti fratelli e sorelle hanno scelto lavori di aiuto alla persona.

Da momo, 14 Novembre 2008 @ 17:12

Sono la sorella minore di un ragazzo disabile.
Se penso alla mia infazia (ora ho 40 anni) non posso fare a meno di associarla alla sofferenza e all’imbarazzo che provavo per lui.
Di queste cose in famiglia non si poteva parlare, bisognava essere forti, non erano ammesse debolezze da chi, più fortunato di lui, era già stato investito di responsabilità e aspettative enormi.
Con gli anni ho dovuto lottare con il senso di ribellione per quel fardello che mi portavo dietro, che mi era stato imposto, ma che amavo con tutta me stessa proprio perchè lui era l’unico ad amarmi in maniera incondizionata.
Poi si cresce…si perdona se stessi e gli altri, e si finisce per comprendere che quella che ti sembrava una imposizione e la tua unica ragione di vita…
Questa è la mia storia.
Spero possa esservi d’aiuto.

Da nadia, 14 Novembre 2008 @ 23:41

Sono la sorella di una ragazza disabile grave di 37 anni. Siamo in 5 figli e lei è l’ultima. Dalla sua nascita la vita è sempre girata intorno a lei e noi abbiamo sempre aiutato e fatto di tutto per alleggerire la situazione. Noi siamo tutti sposati con famiglia, ma non per questo abbiamo dimenticato la nostra famiglia d’origine. Ma adesso che i miei genitori sono anziani (78 e 79 anni) e con problemi di salute,specie di mia madre, cominciano i problemi veri anche perchè spesso i genitori si aspettano che gli altri fratelli vivano solo in funzione dei loro fratelli disabili dimenticando che noi abbiamo diritto a fare le nostre scelte e che abbiamo anche noi una famiglia con tutti i loro problemi. Cosa fare? Vi assicuro che non è facile. Ciao

Da nadia, 14 Novembre 2008 @ 23:50

Continuo il discorso. Non voglio dire che avendo la ns. famiglia abbiamo diritto di dimenticarci di loro ma non sempre è fattibile l’idea di tenerseli in casa (che forse è quello che i genitori si aspettano almeno i miei) Se qualcuno si trova in una situazione simile alla mia invii la sua testimonianza. Rispetto a chi ha parlato prima io non lavoro nell’area disabili ma faccio volontariato in una associazione che si occupa di disabili e anch’io mi chiedo quanto abbia inciso in questa mia scelta la mia situazione familiare. Non nego che l’esperienza di una sorella disabile mi abbia responsabilizzato maggiormente nei confronti degli altri in genere. Ho parlato forse troppo lascio spazio. Ciao

Da Laura, 25 Novembre 2008 @ 19:15

Ciao a tutti, sono Laura, sorella gemella di Manuela, una ragazza down di 27 anni. sono educatrice…e faccio parte di un gruppo di fratelli e sorelle. ci sono moltissime sfaccettature in ogni aspetto e in ogni età di vita. Il confronto con altri fratelli o sorelle mi sorprende sempre perchè impercettibilmente c’è un sottofondo, un qualcosa grazie al quale sai e senti che quella persona ti capisce e anche se non la conosci magari ti riporta sensazioni che tu vivi e spieghi a tutti ma nessuno ha mai capito.. brutto dire che chi non è dentro non capisce..ma a volte è così. e nel gruppo ti ritrovi a raccontare cose personalissime che non racconti ai tuoi amici magari a persone che conosci appena, e vi assicuro che è fantastico poterlo fare. Finalmente viene data un pò di attenzione ai fratelli, e al di là di ogni studio medico educativo pedagogico che sia, una cosa l’abbiamo in comune tutti: abbiamo convissuto e conviviamo la nostra vita con un fratello o sorella per noi speciale, che è così e per quanto riguarda me non vorrei assolutamente cambiare, grazie al quale io ho certe conoscenze e soprattutto sensibilità che altrimenti non avrei, non sarei la stessa persona che sono ora. con tutti i pro e i contro che ciò ha comportato. e vogliamo far capire anche agli altri che per noi i ns fratelli sono speciali, non sono dei problemi, e un pò di questa specialità sarebbe bello averla tutti..

Queste testimonianze sono davvero toccanti e più dei racconti di terze persone fanno capire i disagi dei disabili e delle loro famiglie.
Grazie per averci rese partecipi della cosa.

Emilia Caporaso

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Messaggio  Maisto Teresa Ven Dic 12, 2008 12:48 pm

Quello che dice elvira è vero ma quante volte ci è capitato di guardare gli occhi di un disabile e di scorgervi tutta la viglia di fere cose che invece la società non prevede per lui?

Maisto Teresa

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Messaggio  MADDALENA MACARI Sab Dic 13, 2008 12:20 am

Aiuti alle famiglie con disabili: in Friuli l'aiuto arriva dalle banche
Un accordo tra la Regione Friuli Venezia Giulia e le fondazioni bancarie per migliorare la qualità della vita delle famiglie che vivono, sulla pelle dei propri figli, una situazione di disabilità. Attivo a partire dal 2009.

MADDALENA MACARI

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Messaggio  Angela Riv. Mer Dic 17, 2008 12:19 am

E' giusto che le famiglie di disabili ricevano aiuto e sostegno morale e materiale per affrontare problemi gravi o meno gravi."Lavarsene le mani" è sinonimo di indifferenza e di conseguenza di menefreghismo da parte delle forze che hanno il dovere di aiutare finanziariamente e non solo.
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Messaggio  Rosaria Kaiser Mer Dic 17, 2008 1:29 am

Molte volte, le persone hanno buone intenzioni ma semplicemente non sanno quale sia la cosa giusta da dire o come offrire il loro sostegno. Se non hanno mai sofferto in prima persona di una malattia grave, e se non conoscono altre persone in questa situazione, potrebbero essere incerte su quali siano i tuoi desideri e le tue esigenze e non sanno come chiederti in che modo possono esserti di aiuto. Question

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Messaggio  mariarosaria tarallo Mer Dic 17, 2008 2:03 am

Rosaria Kaiser ha scritto:Molte volte, le persone hanno buone intenzioni ma semplicemente non sanno quale sia la cosa giusta da dire o come offrire il loro sostegno. Se non hanno mai sofferto in prima persona di una malattia grave, e se non conoscono altre persone in questa situazione, potrebbero essere incerte su quali siano i tuoi desideri e le tue esigenze e non sanno come chiederti in che modo possono esserti di aiuto. Question

Sono d'accordo con questo punto di vista espresso da Sara (Rosaria), la non esperienza diretta o indiretta di una particolare condizione e situazione può far apparire indifferenza ciò che è invece quel famoso disagio, sul quale sono in corso altri confronti nel forum.
L'incertezza alla quale fa riferimento è un fatto umano, da comprendere, secondo me, anche se una società attenta ai bisogni di tutti i cittadini, non dovrebbe continuare a non curare l'educazione di tutti alla differenza, unica via, a mio parere, per superare il disagio stesso.
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Messaggio  Sorrentino Lucia Mer Dic 17, 2008 7:06 pm

Un saluto a tutti,

Anche se questa informazione non riguarda le argomentazioni fatte nelle precedenti risposte, ma è un aiuto economico che pur è necessario alle famiglie disagiate , aventi nel nucleo familiare un disabile .
Si tratta di un sostegno economico di 1.000 euro che il governo ha messo a disposizione emanando un decreto Legge a disposizione delle famiglie a prescindere dalla marginalità del reddito complessivo.

Basta leggere al seguente sito www.mef.gov.it(ministero dell'economia e finanza) l'articolo DECRETO-LEGGE del 28 novembre 2008 Decreto-legge recante misure urgenti per il sostegno a famiglie con disabile.

Saluti.
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Messaggio  Marianna A. Russo Mer Dic 17, 2008 7:39 pm

Sorrentino Lucia ha scritto:
Anche se questa informazione non riguarda le argomentazioni fatte nelle precedenti risposte, ma è un aiuto economico che pur è necessario alle famiglie disagiate , aventi nel nucleo familiare un disabile .
Si tratta di un sostegno economico di 1.000 euro che il governo ha messo a disposizione emanando un decreto Legge a disposizione delle famiglie a prescindere dalla marginalità del reddito complessivo.

Questa informazione riguarda in modo diverso le varie argomentazioni già fatta perchè le famiglie dei diversamente abili hanno anche bisogno di un sostegno economico che giustamente il governo deve dare...
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Messaggio  mariarosaria tarallo Mer Dic 17, 2008 7:47 pm

Grazie Lucy, ti segnalo in merito la testimonianza di una cittadina italiana, riportata nella discussione Il ruolo della famiglia a proposito dell'asimmetria nel trattamento dei nuclei familiari, riguardo, in particolare, al bonus di cui parli tu.
Così raccordiamo le discussioni, anche se, in verità, quella in cui hai postato tu è più in tema, l'avevo inserito là, comunque fa lo stesso ; ) sorry.
Dacci uno sguardo, così possiamo avvalerci anche della tua opinione in merito.
Abbraccio, ciao ; )
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Messaggio  Sorrentino Lucia Gio Dic 18, 2008 1:58 am

Ti ringrazio Mariarosaria,
Mi devi scusare per aver tratto un argomento che già ieri avevi delucidato ampliamente e che non avevo letto.
La mia opinione sul fattaccio è piena di perplessità, in me aumenta sempre di più l'idea già fondata di un governo attuale che sicuramente non fa gli interessi del popolo di ceto medio . Non è per polemizzare politicamente ma sai sono le classiche cose all' italiana come nei contratti bisogna leggere nelle righe ciò che è in minuscolo . Ti ringrazio per avermi messo a conoscenza di un particolare che mi era sfuggito e come me a tanti altri .
Secondo la mia opinione questi bonus sono solo degli accontentini per calmare le acque, però la gente non è stupida oggi c'è l'informazione, è da troppo tempo che si gioca sull'ignoranza diciamo o la disinformazione del popolo.
Da alcuni commenti che ho letto , fatti da persone che hanno nel nucleo familiare un diversamente abile si annotano le ingiustizie fatte ad una famiglia numerosa rispetto ad una famiglia con un numero di 3 componenti che non hanno lo stesso trattamento di bonus per portatori di handicap per lo specifico particolare.
Queste discrepanze sono ridicole.
Purtroppo stiamo vivendo un brutto momento, ci auguriamo che dopo i reset generali di tutti i settori, ci sia una rinascita per una nuova, sana e giusta democrazia.

Un saluto da
Lucia Sorrentino study
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Messaggio  Antonella Lucibello Gio Dic 18, 2008 2:08 pm

Mi è capitato spesso, nel mio paese, di ascoltare storie di famiglie con un disabile grave. Dai racconti viene fuori che il disabile grave richiede un’assistenza continua, senza soste. La famiglia coinvolta, svolge spesso un’attività usurante e onerosa, spesa quasi sempre in totale solitudine, senza adeguati servizi di supporto e assistenza, pur se con amore. Le parole ricorrenti sono: “soli e abbandonati”, “derubati della propria vita” per dedicarsi anima e corpo al proprio caro malato. E’ veramente triste tutto ciò e dimostra che accanto ad aiuti economici, la famiglia del disabile ha bisogno di “contatti umani”, di calore.

Antonella Lucibello

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Messaggio  mariarosaria tarallo Ven Dic 19, 2008 1:17 am

Ciao Lucy Sorrent., ho letto attentamente il tuo contributo (e quelli delle altre Colleghe), in realtà sono io ad aver postato nella discussione meno appropriata ; ) comunque, al di là di queste formalità, veniamo al sodo, il problema è serio, e, come ha sottolineato Antonella Lucibello, le famiglie comprendenti una persona con disabilità sperimentano spesso abbandono,solitudine, scoraggiamento. Guarda, non vorrei cadere nei luoghi comuni. Ma questi ultimi a volte non sono altro che la più fedele rappresentazione della realtà: questa società sarebbe da rifare in tanti suoi aspetti.
Ma si continua a metterci su una toppa....
Poi le toppe si logorano, e le lacerazioni nel tessuto umano aumentano.
Per questo, come ripeto fino, forse, alla vostra noia...ci vogliono progetti a lungo termine, interventi radicali, inutile aspettarceli dall'alto, è dal basso che deve farsi sempre più ampiamente consapevole e partecipata la richiesta di risanamento a livello di cultura, oltre che economico.
Condivido, infine, la tua stessa speranza, che da tutti 'sti risanamenti in corso...possa nascere, comunque, qualcosa di buono.
Saluti cari, friend, ciao ; )
mariarosaria tarallo
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Messaggio  Rosaria Kaiser Ven Dic 19, 2008 10:13 pm

Mi fa piacere che la pensi come me, ciao Rosaria T.

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Messaggio  Sorrentino Lucia Lun Dic 22, 2008 5:43 am

Ciao a tutti,

Non sono riuscita a trovare l'articolo integro di ciò che ho ascoltato alla news di telecapri oggi.

Per farla breve, si tratta di un indebitamento da parte di 50 disabili napoletani per aver anticipato dei soldi per sostenere le spese di sostentamento che inizialmente il comune di Napoli ha garantito il rimborso, e che ad oggi lo rinnega.
Pertanto nonstante le varie proteste , il Comune non ha ancora provveduto a risanare la questione, dando però priorità a casi meno rilevanti.
Vergognoso.

Lucia Sorrentino scratch
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Messaggio  mariarosaria tarallo Mar Dic 23, 2008 8:01 pm

non amo le cose eclatanti, la spettacolarizzazione dei problemi, le manifestazioni fondate su polemiche e scontri di parte chiusi al dialogo, ma quando si tratta di negazione di diritti verso altri cittadini, soprattutto se si tratta di diritti che investono proprio la dignità della persona stessa, allora penso che tutti i membri di una comunità civile dovrebbero fermarsi, non produrre più, stoppare tutte le proprie attività, finchè quanti son preposti alla gestione di certe problematiche non ripristinano condizioni accettabili di vita ANCHE per quelle persone vittime della negazione di diritti dovuti.
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